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RAFFAELE ROMANO    Note Biografiche

Raffaele Romano

nasce a Comiso il 26 aprile del 1944. Giovanissimo frequenta la bottega dello scultore Biagio Frisa e si iscrive alla scuola d’arte, dove studia con i maestri Orazio Pelligra, Biagio Brancato, Luigi Gheno, Wanda Poletti e il direttore Germano Belletti. Nel 1960, conseguita la licenza della scuola d’arte, dopo brevi soggiorni a Napoli, Roma, Firenze, si stabilisce a Faenza dove attratto dall’esperienza di bottega collabora con i ceramisti Riccardo Gatti, Silvano Fabbri, Goffredo Gaeta, Silvestro Lega, Carlo Zauli e Gaetano Baglieri. Nel 1962 rientra a Comiso e consegue il diploma di maestro d’arte; successivamente si trasferisce prima a Roma, poi a Milano quindi a Metz. Qui avviene l’importante incontro con Maxime Fance, con il quale si dedica al restauro di statue e decori. In seguito progetta la decorazione dello studio di Fance e quella del Foyer des Jeunes Travailleurs. Sempre a Metz l’incontro con lo scultore Pierre Koppe gli permette di realizzare una fontana per giardino, decorazioni e arredi per diversi luoghi. Ancora a Metz l’incontro con Pussette gli permette di conoscere il francese, Parigi e altri amici. A Parigi frequenta il Beaux Art e vive il tumultuoso ‘68. Rientra in Italia, si stabilisce a Milano, dove si dedica all’incisione presso la stamperia d’Arte calcografica di Franco Sciardelli. Qui conosce il mercante di stampe Marcello Tabanelli che sarà per lunghissimo tempo suo collezionista; frequenta il pittore Eugenio Tomiolo e collabora con lo scultore Fausto Melotti. Nel 1972 con il gruppo Garibaldi crea una cooperativa d’Arte che diventa un centro espositivo per lo sviluppo di giovani artisti, successivamente con Denti e Baraldi dà vita a “Taccuino Apografo” raccolta di carte artistiche di vari artisti. Nel 1974 incontra il poeta Gonzalo Alvarez che oltre ad essere un appassionato collezionista sarà il suo critico maggiore, lo presenterà al designer Piero Fornasetti che gli propizierà importanti mostre personali e collettive quali: La morte arriva in prima classe, Venezia vive, I segni colorati. Significative le opere realizzate dietro commissione del Credito Italiano nelle città di Napoli, Quarto di Napoli, Roma, Talsano (TA), Milano, Luxemburg e Francoforte. Nel 2006 è presente alla collettiva “Una scuola una generazione” Aula "Pietro Palazzo", Comiso (RG). Nel 2007, in seguito alla mostra di Comiso “Una scuola una generazione” che dà il via al Collettivo Comisano BAI, è presente ad un ciclo di mostre itineranti in tutta Italia. Nello stesso anno allestisce una personale alla “Galleria d’Arte Quintocortile” di Milano e alla galleria “Spazio Zero” di Gallarate con testo di Rosanna Bossaglia. Numerose le sue edizioni di grafica. Vive e lavora a Milano.

 

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Sappiamo dai banchi di scuola come l’esattezza di un’addizione si verifichi col sottrarre ciò che prima si è aggiunto; quando il risultato finale è pari a zero, l’esercizio è riuscito. In modo analogo, per interpretare gli esiti estremi di un pittore, è necessario risalire al grado zero del suo segno, rifacendone il percorso. Quali dunque le tappe di Raffaele Romano? Dopo le opere di maggiore impegno, nel senso sociopolitico del termine, dove egli si ergeva a interprete della miseria e nobiltà degli emigranti – accompagnati sempre, nel loro viaggio della speranza, dalla morte, come nei versi di Cesare Pavese – e dopo le meditazioni sui mostri generati dal sonno della ragione nella villa dei principi di Palagonia, sincero omaggio alle ossessioni di una terra disperatamente amata e insieme lamento per i suoi mali incurabili, i lavori più recenti dell’artista hanno voltato le spalle alla figurazione.

Chi ha conosciuto il Romano visionario degli scheletri e delle maschere grottesche stenterà a credere che le “Architetture celesti” e le “Mitocosmologie” – dipinti astratti dove piccole macchie di colore sommuovono una quantità di vibrazioni – scaturiscano dalla medesima fonte. Eppure, a un approccio più attento, i suoi puntini saltellanti disegnano sui fondi piatti e uniformi profili e (a)simmetrie. Accade in altre parole un fenomeno che gli storici delle tradizioni conoscono bene: la nascita delle costellazioni.

Nell’antichità, come è noto, l’unico modo per farsi un’idea del mondo era strutturare racconti in cui gli dei scendevano sulla terra, si invaghivano di eroi, vivevano, lottavano, amavano, utilizzavano gli uomini per i loro scopi e infine ritornavano in cielo, sotto forma di astri. E che cosa sarebbero le macchie di Romano se non buchi neri, galassie, nodi stellari?

In un tempo in cui i sermoni non hanno più presa sulla nostra mente stanca e il fantastico ha cessato di eccitare i nostri sensi smaliziati, questi messaggi elementari sono tra i pochi ancora capaci di scuoterci, mettendoci in contatto con le emozioni enigmatiche di un’estetica spontanea.

Approdati finalmente in paradiso, i diavoli e i cadaveri ambulanti del passato hanno disfatto le valigie di cartone e si sono acclimatati. Dalla loro nuova dimora gettano su di noi sguardi distanti, moniti, messaggi cifrati.

 

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