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Gonzalo Alvarez Garcia

 

 

 

 

Raffaele Romano

 

 

La cosa che più colpisce nell’opera di Raffaele Romano è la sua viscerale “sicilianità”. La Sicilia è stata sempre prodiga di grandi artisti, da Verga a Pirindello, da Emilio Greco a Guttuso, ma, tra tanti artisti, non è facile trovare un altro pittore in cui la natura tragica dell’Isola si esprima con tale intensità. In Raffaele Romano la vita dell’uomo si confonde con l’attività dell’artista e nell’una e nell’altra vibrano con uguale intensità le piaghe e le magnificenze della sua terra.

 

La Sicilia è un paese insieme barocco e classico. I paesaggi dove la natura, arruffata e violenta, irrompe come un’eruzione vulcanica, si alternano ad altri in cui la geometria tra il cielo, la terra, il mare e l’uomo appare perfetta e rassicurante come il profilo di un tempio greco. L’arte di Raffaele Romano riflette l’una e l’altra bellezza.

 

Nagli anni Sessanta documentò in una grande serie di acqueforti la tragedia dei suoi conterranei in fuga dalla povertà verso i paesi più ricchi del Nord: quelle sue lastre erano talmente cariche di tenerezza, di violenza e d’ironia, che sembrano incise col sangue.

Negli ultimi anni Settanta interpretò l’anima tenacemente mitologica della Sicilia. Trovò spunto per questa sua “rappresentazione” nella “Villa dei Mostri”, la residenza estiva beffardamente barocca che il principe di Palagonia aveva fatto costruire a Bagheria, a pochi chilometri da Palermo, nel secolo XVIII.

Questo palazzo patrizio, che ossesionò l’apollineo Goethe e lo costrinse a scrivere le sei lunghe pagine di ribrezzo del suo “Viaggio in Italia” (1786/87), in realtà è un paradigma della Sicilia: i miti pagani e cristiani si accavallano e sovrappongo in un groviglio raccapricciante, mentre la sua luce può diventare altrettanto “accecante” quanto le tenebre.

Raffaele Romano ha dedicato a questo emblema dell’Isola un’opera tanto ingente quanto affascinante, La Ricreazione originalità dei “Mostri” del Principe di Palagonia della villa di Bagheria gli ha dato l’occasione di intonare un canto ricco di accenti e di tonalità, il meno convenzionale, il più coerente con la terra e l’uomo di questa terra che sia mai stato creato da pittore.

Tra le ultime grandi opere di Raffaele Romano non si può non citare la “Traslitterazione del Partenone”, una specie di Odissea pittorica siciliana sotto la forma di fregio per un Tempio Greco, che ricrea i grandi temi della memoria con struggente senso della poesia e con antica fierezza.

Il mito. Sempre il mito in questo artista che ha incarnato in se stesso il destino della sua terra, eternamente costretta da forze ostili a tramutare la realtà in sogno per poter sopravvivere.

 

 

Palermo, 6.1.1997

 

 

Gonzalo Alvarez Garcia

 

 

 

 

 

 

Raffaele Romano è un pittore siciliano, giovane, ma con un retroterra artistico assai ricco.

Si diploma nell’ Istituto d’Arte di Comiso (Ragusa), nel 1963 e lascia subito la sua terra. Per dieci anni gira i paesi d’Europa alla ricerca della propria parola, prima di stabilirsi a Milano.

Roma, Firenze, Monaco, Amburgo, Oslo, Stoccolma sono le tappe più importanti dove Romano si è fermato per ascoltare le lezioni dei grandi maestri del passato e del presente, senza discostare mai l’orecchio dalle lezioni di vita che vengono dagli uomini, dalle grandi migrazioni di lavoratori. Raffaele Romano ha seguito con l’occhio e con il cuore i movimenti di questi moderni nomadi costretti a continui spostamenti per seguire i nuovi insediamenti delle catene di montaggio.

Particolarmente importante è stato il suo soggiorno a Parigi, dove ha potuto entrare in contatto diretto con i maestri della pittura moderna: Picasso, Chagall, Matisse, Rouault...  Nel primo periodo della pittura di Romano ci sembra di scorgere le tracce dei maestri del na“fs; composizioni sapientemente ingenue, ma di un’ingenuità rude e triste, quale è sempre l’ingenuità dei poveri con i quali Romano comparte le asprezze della lotta per la sussistenza quotidiana. L’ironia salva dalla disperazione l’artista e le sue creature. La pittura di Romano non nasce da tormentate ricerche di laboratorio, ma direttamente dalla sua sofferta esperienza di vita, dal suo compartire la sorte di uomini che lottano per poter vivere o sopravvivere.

Una vena segreta lega le acqueforti di Romano ai  “ Desastres de la guerra”  del grande maestro spagnolo dell’ottocento, Goya. La stessa forza, lo stesso sdegno, la stessa ironia, la stessa tenerezza, la stessa solitudine dell’uomo. La serie degli  “emigranti “ costituisce un grande poema epico che Romano dedica con passione a queste masse arratiche in cerca di sostentamento.

A Milano, dove si stabilisce nel 1968, Romano ha collaborato con grandi artisti, come Fausto Melotti ed Eugenio Tomiolo.

La sua tecnica si evolve di giorno in giorno, fino a diventare uno dei più grandi acquafortisti italiani d’oggi.

La sua pittura si affina, acquista toni meno rudi, più delicati, ma senza perdere incisività. Il travaglio di vivere, dell’umano vivere, resta sempre al fondo della sua ispirazione. La sua arte si arricchisce di tematiche nuove o di variazioni su vecchi temi, come la Sicilia. La Sicilia quale scenario della vicenda umana.

Sui mostri di Villa Palagonia, a Bagheria, la cui suggestione aveva già attirato l’attenzione di grandi pittori come Picasso e Guttuso, Romano ha realizzato un lavoro enorme, sorprendente; sorprendente per qualità e per mole. Acqueforti, disegni, oli su tela; decine e decine di opere nelle quali ha cercato di sviscerare il mistero di una terra dove la ragione e la follia, gli dei e gli uomini, i briganti spietati e la gente mite come la ginestra e solitaria come l’agave, si sono aggrovigliati attraverso i secoli per dare vita a espressioni di rara bellezza e di acre disperazione.

La pittura di Raffaele Romano è un canto a questa Sicilia, ricco di accenti e di tonalità, il meno convenzionale, il più coerente con la terra  -  e con l’uomo di questa terra - che sia mai stato creato da pittore.

                                                                                                                                                                            

                                                                                                                                                                                               GONZALO ALVAREZ GARCIA

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